Il “rent to buy” immobiliare, un percorso a ostacoli per il venditore inesperto
Il “rent to buy”, o più semplicemente “affitto con riscatto”, è una formula contrattuale importata nel sistema immobiliare italiano qualche anno fa, all’apice della crisi di settore. La contrazione delle compravendite, dovuta in particolare alla chiusura dei “rubinetti” bancari, e all’elevato tasso di disoccupazione, ha spinto venditori e professionisti immobiliari, a ricercare stratagemmi contrattuali che favorissero queste forme di acquisto differite nel tempo.
Con l’espressione rent to buy vengono indicati per l’appunto, quei contratti di locazione finalizzati al successivo acquisto dell’immobile. Un contratto che consente all’inquilino di entrare immediatamente in possesso dell’immobile, pagando una sorta di canone d’affitto che -in parte- verrà scalato dal prezzo finale d’acquisto.
Già qui è necessaria una dovuta precisazione, su cui verte l’intera struttura di questa forma contrattualistica: il canone versato mensilmente, non va ad abbattere per intero il prezzo pattuito. È elemento essenziale del contratto di rent to buy che il canone pagato sia determinato mensilmente in due parti: la prima, a corrispettivo del godimento del bene (un affitto vero e proprio), la seconda, recuperabile quale parte del prezzo d’acquisto fissato.
La determinazione della quota percentuale per l’una o per l’altra parte, è rimandata agli accordi privati tra venditore e potenziale futuro acquirente, ma è pur vero che non è possibile azzerare o quasi, la quota destinata a corrispettivo del “momentaneo” affitto.
Faccio un esempio per rendere pratica questa situazione. Venditore e acquirente decidono di accordarsi per un contratto di affitto con riscatto, pattuendo un prezzo di vendita di 100 mila euro, che dovrà essere saldato per intero tra 3 anni. Nel frattempo l’acquirente può entrare ed utilizzare l’immobile, a fronte di una rata annuale per l’affitto di 5 mila euro. L’inesperienza e i consigli fuorvianti di alcuni agenti immobiliari, portano a pensare l’inquilino/futuro acquirente di poter scalare per intero la somma pagata annualmente dall’importo finale: tra tre anni, saldando i residui 85 mila euro al venditore, la casa sarà sua!
Niente di più sbagliato! Il canone versato nei tre anni, andrà sì a coprire parte del prezzo, ma anche parte dell’affitto. In quale percentuale, è uno dei punti più delicati dell’intero accordo tra le parti. Da un lato, il venditore avrà tutto l’interesse di spingere per una quota percentuale alta per la parte che funge da “affitto”, che, in caso di mancato acquisto finale, potrà essere trattenuta del tutto. Dall’altro, il potenziale acquirente punterà per una quota-parte più alta per il corrispettivo legato al “prezzo”, così da abbattere quanto più possibile il saldo finale all’atto conclusivo dal notaio. E, particolare di non poco conto, poterla interamente recuperare nel caso decidesse di non procedere più con l’acquisto al termine dei tre anni.
Perché, caro venditore, quando si stipulano questi contratti a lungo termine, si deve essere assolutamente coscienti che le situazioni e le volontà, negli anni, possono cambiare. L’esempio più frequente, due fidanzati, due neo-sposi, che entrano con la formula dell’affitto con riscatto, e che -a distanza di tempo- si lasciano, decidendo di uscire da quella casa dove sognavano di costruire la loro famiglia. Un contratto stipulato sulle parole incentivanti del tuo agente immobiliare di fiducia, che ti offriva la possibilità di realizzare una cifra finale superiore alle aspettative di mercato, prevedendo però una rata mensile con un valore percentuale legato al “prezzo” altissimo. Vederti costretto a restituirla in toto, tenendo gli spiccioli della quota-parte d’”affitto” legata all’occupazione dell’immobile. Un immobile ancora sul groppone, il pensiero di dover ricominciare da zero con la vendita, la svalutazione legata al tempo che passa e all’utilizzo dell’immobile da parte dell’affittuario…
Senza contare i rischi connessi ad un immobile che potrebbe non-liberarsi con la stessa semplicità con cui ho descritto questa situazione. Trattasi pur sempre di un contratto d’affitto di base, con un patto specifico per la futura vendita, ma con un inquilino dentro, col quale il venditore trattiene un rapporto contrattuale vincolante, che, sappiamo bene tutti, agevola in tutto e per tutto colui che occupa l’immobile, non il proprietario! Se ci sono minori di mezzo figuriamoci… in questi casi serve incrociare le dita e sperare nella buona fede di chi è dentro la tua casa!
Per quale motivo, quindi, sempre più agenzie propongono ai proprietari di immobili da vendere, questa formula contrattuale?
La risposta è piuttosto semplice, e sta nell’assoluta incapacità di far percepire ai loro clienti la reale situazione di mercato in Italia. Preferendo indirizzarli su un affare altamente rischioso, pur di arrivare all’agognata provvigione, anteponendo l’interesse personale, ai valori di chiarezza e trasparenza essenziali in un momento come questo, crocevia tra definitiva ripresa o nuova discesa nel baratro.
La mia agenzia ha deciso proprio per questo di prendere una posizione netta nel mercato immobiliare di nostra competenza, scegliendo di non prospettare a nessuno questa formula contrattualistica. Abbiamo valutato, dati di fatto e casistica analizzata in mano, che i rischi sono decisamente maggiori dei benefici. Il rent to buy cozza col nostro obiettivo di riportare quella fiducia necessaria nel settore immobiliare, fondamentale per far ripartire l’economia generale. Una scelta drastica, di cui raccoglieremo i frutti tra qualche anno, quando il rent to buy sarà un lontanissimo ricordo nel settore delle compravendite residenziali tra privati.